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Campioni nazionali creasi

Far crescere in senso manageriale le imprese di trasporto e logistica è essenziale per il Paese. Ed è l’obiettivo di Fiap. Ecco la strada per il futuro

| Pubblicato in Organi di Informazione
Campioni nazionali creasi intervista ad Alessandro Peron FIAP

Intervista a cura di Tiziana Altieri, tratto dalla Rivista Vie&Trasporti - Giugno 2023.

Correva l’anno 1949 quando a Roma nacque Fiap, la Federazione Italiana Autotrasportatori. Oltre settant’anni di storia per questa realtà che non ha mai smesso di affiancare gli operatori del settore “per aiutarli a crescere” come ci ha ribadito Alessandro Peron, dal 2013 in Fiap e dal 2020 segretario generale, più volte una voce fuori dal coro.

“Ma noi crediamo che sia meglio parlare chiaro”. Peron lo ha fatto a fine 2021 quando ha criticato la nuova procedura che escludeva Fiap dall’Albo “l’assenza di Fiap per scelte ‘politiche’, che non tengono conto dell’impegno e della rappresentanza vera ed oggettiva delle imprese, risulta essere una grave anomalia, che dovrà essere risolta nelle sedi e nei tempi più opportuni”. Il ricorso ha avuto esito positivo e oggi Fiap è di nuovo dentro. Lo ha fatto quando, lo scorso ottobre, ha annunciato l’uscita da Conftrasporto perché “l’autonomia permetterà alla Federazione di individuare idee e adottare iniziative e percorsi in chiave diretta e conforme ai nostri obiettivi”.

E proprio per meglio comprendere quali sono questi obiettivi abbiamo incontrato Alessandro Peron.

Chi è Fiap oggi?

“Un’associazione profondamente ristrutturata che ha deciso di cambiare approccio per risolvere problemi che sono decennali. Pensiamo che se quello che è stato fatto fino a questo momento non ha funzionato sia necessario un cambio di passo. Sono entrato in Fiap dieci anni fa e ho avuto la fortuna di lavorare con un presidente e un segretario lungimiranti che hanno compreso che il modello associativo doveva evolvere con i tempi”.

In cosa consiste il nuovo approccio?

“Lavoriamo per costruire un dialogo con il mondo politico e con la committenza che, ci siamo resi conto, condivide molte delle nostre problematiche. Mi riferisco, in particolare, a chi si occupa di supply chain all’interno di grandi multinazionali: anche nel mondo industriale la logistica e il trasporto vengono ritenuti servizi di serie B e i manager, il più delle volte, sono costretti a utilizzare gli operatori che seleziona l’ufficio acquisti, non loro. Lavoriamo senza dimenticare che la responsabilità di questa situazione è da imputare principalmente al le nostre aziende. Nel trasporto e nella logistica imprenditoria e managerialità sono latitanti. Per cambiare lo stato delle cose basterebbe una presa di coscienza da parte del comparto della sua strategicità. Ci si deve porre nei confronti dei clienti come fornitori importanti. Non servono più leggi di quelle che già si sono. La miglior norma sui tempi di pagamento è che non si forniscano servizi se il committente non paga. E a proposito di tariffe minime, se quelle proposte non sono accettabili è meglio tenere il camion fermo.
Dobbiamo difendere tutto e tutti? O dobbiamo far evolvere quelle imprese che hanno voglia di crescere imprenditorialmente? Ebbene oggi Fiap affianca queste ultime. Vogliamo far diventare le nostre aziende piccoli campioni nazionali della logistica, in grado di competere anche nel panorama internazionale. La logistica oggi non può essere artigianale ma industriale nel senso di approccio manageriale”.

Quale sono a Suo parere le dimensioni ideali di un’azienda per competere?

Non c’è una dimensione, un numero di dipendenti o un fatturato ideale: ci può essere un imprenditore che fattura 2 milioni di euro ma sta crescendo perché ha lo spirito giusto e altri che magari raggiungono i 10 milioni di euro ma sono ‘dipendenti travestiti’.
Noi oggi abbiamo 80mila imprese iscritte all’Albo, 78mila sotto i 25 dipendenti. Le aziende sopra i 100 veicoli sono solo 840. Questo vuol dire che soffriamo di una destrutturazione del comparto. Nel nostro Paese sono stati dati soldi a pioggia e non si sono fatte crescere le aziende meritevoli. L’idea tutta italiana che bastava comprare un camion per diventare imprenditori è sbagliata. Un problema per la politica e la committenza: per aiutare il made in Italy a varcare i confini è essenziale avere operatori logistici strutturati.
Ci sono due aspetti che mi hanno sorpreso quando sono arrivato in questo settore 10 anni fa: il prezzo lo fa il cliente e, quindi, i servizi di trasporto non si vendono ma vengono comprati; i servizi vengono venduti a chilometro e non a ore come in tutto il mondo nonostante il 70 per cento dei costi siano fissi. Solo ultimamente, con la mancanza di autisti, gli imprenditori hanno cominciato a ragionare sul fatto che ogni giorno ciascun camion deve produrre una certa somma, altrimenti è meglio tenerlo sul piazzale. Ebbene le aziende che possono guardare al futuro sono quelle che vogliono scardinare queste prassi”.

Un tema a voi caro è quello della rappresentanza...

“Oggi è una confederazione che rappresenta i nostri clienti ad avere il potere di indicare le associazioni presenti nel Comitato Centrale dell’Albo, usualmente chiamate dal Ministro. Il nostro è un comparto che non ha nemmeno la dignità di rappresentarsi autonomamente.
Ci sono associazioni nell’Albo degli Autotrasportatori che hanno meno mezzi di quanti ne possiedono alcune mie singole aziende. Basta che la confederazione aderisca al CNEL - Consiglio Nazionale dell’Economica e del Lavoro delle Organizzazioni di rappresentanza del settore - per essere dentro. Noi ci lamentiamo che il Governo non fa nulla ma ci rendiamo conto che si trova davanti a 15 associazioni che dicono di essere tutte rappresentative? Quando un giorno si andrà alla conta le cose cambieranno. La questione è che 78mila piccole aziende faranno fatica ad approcciare la transizione ecologica e non solo”.

In cosa Fiap si differenzia?

“Per noi l’associazione non è una società di servizi, ma una cosa seria, un gruppo con interessi comuni che fa una lobby sana e pulita. In Fiap tutte le imprese hanno lo stesso peso e la quota associativa è uguale per tutti ma chiediamo agli iscritti di partecipare attivamente. Noi pensiamo che la Fiap debba crescere non perché ha tanti associati ma perché ha tanti campioni nazionali che stanno crescendo e molte imprese stanno entrando perché vedono in noi qualcosa di diverso. Non ricattiamo, non abbiamo alcun tipo di arma, ma parliamo chiaramente”.

Cosa vuol dire essere autotrasportatori nel 2023?

“Alle imprese bisogna dire come stanno realmente le cose in modo che possano fare le loro scelte con consapevolezza: l’autotrasporto è morto, esistono operatori logistici il cui guadagno deriva dal far girare la merce, il camion che è solo uno strumento. Bisogna avere l’orgoglio di essere non autotrasportatori, ma imprenditori che offrono un servizio.
Cominciamo a costruire un settore meritocratico affiancando chi ha voglia di crescere, di strutturarsi, di investire. Noi abbiamo la responsabilità di insegnare ai nostri imprenditori che devono creare ricchezza, se non guadagnano non possono farlo e non possono distribuirla ai lavoratori e ingrandirsi. In questo comparto convivono due realtà diverse: c’è l’artigiano che deve essere regolamentato e ha più bisogno di associazioni sindacali che datoriali, e poi c’è l’industriale che necessita di incentivi, di pianificazione, di crescita, cultura, managerialità. Fiap vuole partire dal mondo industriale che deve prendere a braccetto quello artigiano, fatto da imprenditori piccoli che possono dare flessibilità”.

Quali sono oggi i cinque grandi temi sul piatto?

“Il primo è, appunto, quella della creazione di campioni nazionali della logistica. Altro tema è l’attrattività del comparto. Dobbiamo venderci meglio, dobbiamo far capire al mercato che questo è un settore bellissimo, che fa girare l’economia, pieno di opportunità di crescita. Qui la figura umana è al centro. L’anno scorso in Italia sono state rilasciate 50mila CQC ma in pochissimi sono entrati nel trasporto merci, i più hanno scelto il trasporto rifiuti o persone dove si lavora 6 o 8 ore. Il mondo del lavoro è cambiato e le esigenze delle persone sono diverse. Non possiamo chiedere a un lavoratore di avere un impegno fino a 14 ore al giorno per uno stipendio di 8 ore. E nemmeno di stare fermo 5 o 6 ore al carico senza un bagno a disposizione, perché nessuno può più sostenere questo. Si può andare sempre più a Est a cercare autisti ma non possiamo lavorare sulla disperazione delle persone. È una riflessione che va fatta a tutto tondo, ancora una volta la svolta deve arrivare dai nostri imprenditori. E qui mi collego al terzo punto. Abbiamo un problema enorme di concorrenza sleale e mancata corresponsabilità. Questo è un comparto dove il servizio viene comprato e viene imposto un prezzo. Pur di starci dentro molti operatori fanno tutti i tagli possibili e qualsiasi economia. Se non basta si va sull’irregolarità: non si pagano Iva, contributi, autisti, non si fa manutenzione sui veicoli mettendo a rischio la sicurezza sulle strade, non si rispettano i tempi di guida e di riposo. L’incapacità di ottenere il giusto prezzo viene ribaltata sostanzialmente sull’intera società. Chi è il beneficiario di questa elusione? Le imprese di trasporto e logistica non hanno bilanci interessanti, vedo, invece, committenti che guadagnano molto. Il committente deve essere considerato corresponsabile. Abbiamo leggi che nessuno applica. Lo Stato deve vigilare con i controlli nella piena volontà di costruire i campioni nazionali e senza alcuna Autority. Chi sta usufruendo di fornitori che non rispettano le norme deve pagare, invece oggi gli unici messi alla gogna sono gli operatori del trasporto e della logistica.
Quarto: bisogna far tornare agli operatori l’entusiasmo di fare questo lavoro, una sfida difficilissima ma fondamentale. Dobbiamo avere imprenditori italiani che vogliono investire in Italia, che pagano le tasse in Italia e creino un asset strategico per l’economia del Paese.
Dopo ci sono piccoli temi. Come quello degli incentivi che devono però, lo sottolineo ancora una volta, essere rivolti a chi investe. Come Fiap stiamo uscendo con una serie di proposte importanti volte a premiare chi è pronto a scommettere sulla sostenibilità ambientale e sociale, che vuol dire anche occupazione femminile, oggi solo al 22 per cento e sulla formazione”.

Cosa ne pensa dell’Albo oggi?

“Per Silvio Faggi che mi ha insegnato tutto di questo comparto, l’Albo era fondamentale, una camera di compensazione tra le problematiche del comparto e il Governo. Credo però che sia stato fatto di tutto per togliergli qualsiasi potere. Non fa molto altro che gestire sconti autostradali e fare pulizia degli iscritti con poca convinzione. L’Albo concettualmente è un bellissimo esercizio ma non rappresenta più nessuno. Con la nuova norma è la confederazione a decidere chi si siede al tavolo delle trattative. A questo punto facciamo l’albo dei committenti... Questo non vuol dire che non ci debba essere: va rivisto, pensato in modo diverso, è nato nel 1978, un’altra era”.

Cosa ne pensa del Tavolo Tecnico istituito dal MIT lo scorso marzo?

“Riscontro due punti problematici. L’unico interlocutore è ancora una volta, il MIT ma fisco, lavoro, incentivi, concorrenza, sono tutte deleghe di altri ministeri che devono essere coinvolti. Il secondo: se vi siedono 15 organizzazioni che rappresentano interessi diversi a chi si darà ascolto? Questi tavoli tecnici diventano un momento di discussione tra le associazioni e non si può chiedere al ministero di fare da mediatore. Auspico che le ‘quindici’ riescano a costruire una sintesi da sottoporre ai Ministri competenti altrimenti il Governo farà ciò che ha sempre fatto, ossia nulla. Attenzione, però, perché di tempo se ne è già perso troppo.
In Italia stanno arrivando grandi player internazionali che potrebbero fare piazza pulita disintegrando il mercato e creando un problema enorme all’economia italiana. Le eccellenze del made in Italy rischiano concretamente di dover utilizzare operatori controllati da stati esteri: potrebbero essere altri a decidere come e dove l’Italia venderà i suoi prodotti. Non avere operatori forti è un problema, non solo per il comparto. Il trasporto è il settore dei settori, agevolatore dell’economia. Se favorisco la logistica rendo il Paese più forte. Noi non siamo un costo del prodotto, ma il marketing, valore aggiunto. A questo proposito vorrei sottolineare come anche la questione Brennero sia un problema interministeriale, politico. Abbiamo quattro bocche di fuoco, tutte nelle Alpi, se queste vengono bloccate noi non esportiamo e non importiamo più, un grave problema per un’industria di trasformazione qual è la nostra. Confindustria cosa ne pensa? Oggi abbiamo un Paese che ha fatto della cultura del made in Italy uno slogan. Spero che le priorità del sistema Italia vengano veramente prima delle singole iniziative”.

Quanto tempo abbiamo per invertire la rotta?

Nel prossimo biennio si definiranno le grandi partite. Le aziende hanno bisogno di risposte, velocità, devono capire come sta andando il mondo. I grandi operatori si muovono alla velocità della luce, investono e non hanno bisogno di incentivi. Noi dobbiamo insegnare ai nostri imprenditori che devono avere i margini per vivere da soli, in maniera sana e onesta. Questo settore deve tornare ‘normale’: gli imprenditori in piena armonia con le norme devono creare ricchezza e guadagnare. Una svolta potrebbe avvenire con il cambio generazionale: vedo tante nuove leve che hanno una visione diversa da quella dei loro padri.
La fortuna è che il pacco verrà consegnato ancora da un uomo, la gestione di un’urgenza, di un magazzino sarà nelle mani di una persona. In questo contesto il TCR, un modello di selezione del fornitore condiviso fra chi conosce bene il mondo della logistica e chi compra il servizio di trasporto, per noi è fondamentale perché diventa un sistema di autovalutazione per le aziende, uno specchio oggettivo”.

Quale l’obiettivo personale che si è posto come segretario generale di Fiap?

“Quando vedrò nell’organigramma delle multinazionali che il supply chain manager è l’uomo più potente dopo l’ad, ed è quindi cruciale per la strategicità dell’azienda, avrò raggiunto il mio grande obiettivo. Vuol dire che c’è consapevolezza dell’importanza del settore. Poi, vorrei vedere tanti campioni nazionali di logistica italiani diventare eccellenze nel mondo, sarebbe una grande soddisfazione personale”.

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